Nato il 23 luglio

Dieci anni fa. Erano le cinque del mattino o giù di lì, quando Lalli venne a svegliarmi per dirmi che eri “volato via”. Angelo di nome e di fatto. Volato via troppo presto, però. L’ennesimo errore medico, di quelli che hanno segnato irrimediabilmente la nostra famiglia.

Dopo un anno e mezzo di travaglio, tra trapianto e cicli di chemio, ti avevano detto che eri guarito, ma non avevano fatto i conti con la radioterapia fatta male e una dose eccessiva di anti-rigetto, che fecero ricomparire il tutto proprio lunedì 11 giugno 2003, manco a farlo apposta, l’anniversario della morte di Enrico, che ai tempi manco sapevo chi fosse.

Ti eri appena rifatto il guardaroba, perché non vedevi l’ora di tornare a lavorare: avevi perso oltre 50 kg, con me scherzavi, ma nemmeno troppo: “Sembro appena uscito da un campo di sterminio“. Il tatuaggio, però, te l’avevano inciso nell’anima in un anno e mezzo di sofferenze che sembravano averci dato speranza.

Uno degli ultimi giorni, quando ancora riuscivi a parlare, mi feci promettere di continuare a studiare e, prima di ogni altra cosa, di essere onesto nella vita, anzitutto con me stesso. Spero di aver onorato quella promessa come avresti voluto tu, almeno ci ho provato.

Eri malato di leucemia, ma quel mercoledì ti portò via una polmonite. E non fosti l’unico, benché il reparto dovesse essere “sterile”. Ma non ha importanza, adesso.

Il giorno dei funerali, non potrò mai dimenticarlo, c’era la gente fino a fuori la chiesa: perché in vita avevi fatto tanto per molti, senza chiedere mai in cambio niente, com’era nel tuo stile. Ero troppo piccolo per capire, devastato dal dolore per la tua perdita. Ma oggi capisco che quel 23 luglio moriva anche un pezzo di me e ne nasceva un altro.

A volte sembra che le persone che vivono la propria vita con discrezione come hai fatto tu non abbiano nulla da dire, perché hanno vissuto nell’ombra; e invece, quando non ci sono più, ci si accorge che nel silenzio dei loro gesti quotidiani hanno costruito molto più di altri vissuti alla luce dei riflettori.

Spero d’esser degno di quel che hai costruito e che mi hai lasciato.

Ciao, papà.