E’ già passato un anno. Di nuovo. In totale sono dodici. Eppure mi ricordo come se fosse appena accaduto: tu che ti esprimevi a gesti, io che non ti potevo abbracciare, troppi tubi, poi quello scafandro intorno alla testa che non ti permetteva nemmeno di baciarmi. Potevo solo tenerti la mano. Mi hai voluto vedere un’ultima volta verso le 3, poi mi hai mandato a dormire. Quanto era scomoda quella barella nella sala infermieri, ma altro non c’era. Dire di aver dormito è certamente un’esagerazione, ma riposato un pochino, quello sì.
Poi verso le 5 Lalli è venuta a svegliarmi. “Papà è volato via…” – “Che cosa dici?” – “Papà non c’è più” – “Che cosa dici…”, ho ripetuto. Sono rimasto imbambolato lì su quella barella per qualche secondo ma oggi se ci ripenso mi sembra un’eternità. Non ho versato una lacrima, nemmeno dopo. Sono entrato nella tua stanza, non c’era più nulla: non c’erano i tubi, non c’era lo scafandro. Potevo finalmente abbracciarti, ma non c’eri più tu.
Eri malato di leucemia, ma quella notte di portò via la polmonite. Girava un virus, hanno detto. Ordinaria amministrazione per loro, a quanto pare. Fa nulla se era un reparto sterile, o almeno così doveva essere. Cinque settimane prima eri pronto per tornare a lavorare, il trapianto era riuscito perfettamente, ma poi la malattia è tornata perché non ti hanno fatto bene la radioterapia. Chapeau.
Gli ultimi dodici mesi non sono andati come previsto, ma non mi lamento: c’è chi decisamente sta messo peggio. Tuo figlio sta sempre sulle scatole a molta gentaglia, ma di questo devi solo andar fiero. Da qualche giorno sta sulle scatole anche a Salvini: censurandolo per un commento che si chiudeva con un’esortazione da bei tempi andati (Studia, somaro) gli ha regalato una notorietà inaspettata.
Sto tutto sommato bene, non mi annoio. Resto fedele a quella promessa che ti ho fatto, l’ultima: di essere onesto, anzitutto come me stesso. Mi ha portato a subire diverse delusioni, soprattutto umane, ma almeno non ho perso la dignità. C’è chi invece se l’è venduta per del “sesso strepitoso“, però almeno ha ammesso davanti a terzi di essere “una persona di merda” (e questa diceva che ero il suo migliore amico… immaginati se gli stavo antipatico che faceva).
Sono passati dodici anni. Cominciano ad essere tanti. Ti avrei voluto chiedere consiglio su tante cose, ma per sciogliere i nodi ho fatto come dicevi tu: “tra il sentiero battuto, la via facile, e quella inesplorata, quindi più difficile, scegli la seconda e non sbaglierai mai.” Forse qualche volta mi sono perso, ma avevi ragione: sul lungo periodo si hanno più soddisfazioni.
Tu, nel tuo piccolo quotidiano, mi hai dimostrato che, anche se costa fatica, è meglio la strada in salita, la via più difficile, perché il primo raggio dell’alba è quello più bello e la vista da lassù è mozzafiato. Le fatiche, le sofferenze, il dolore e le delusioni sono il prezzo da pagare, la montagna da scalare: ma è solo da lassù che si può imparare a volare.
A volte sembra che le persone che vivono la propria vita con discrezione come hai fatto tu non abbiano nulla da dire, perché hanno vissuto nell’ombra; e invece, quando non ci sono più, ci si accorge che nel silenzio dei loro gesti quotidiani hanno costruito molto più di altri vissuti alla luce dei riflettori.
Io ho ancora molto da scalare, ma già da qui la vista è bellissima. E l’alba è una meraviglia. Grazie, papà. Oggi, nonostante tutto, sono felice.
Dodici
E’ già passato un anno. Di nuovo. In totale sono dodici. Eppure mi ricordo come se fosse appena accaduto: tu che ti esprimevi a gesti, io che non ti potevo abbracciare, troppi tubi, poi quello scafandro intorno alla testa che non ti permetteva nemmeno di baciarmi. Potevo solo tenerti la mano. Mi hai voluto vedere un’ultima volta verso le 3, poi mi hai mandato a dormire. Quanto era scomoda quella barella nella sala infermieri, ma altro non c’era. Dire di aver dormito è certamente un’esagerazione, ma riposato un pochino, quello sì.
Poi verso le 5 Lalli è venuta a svegliarmi. “Papà è volato via…” – “Che cosa dici?” – “Papà non c’è più” – “Che cosa dici…”, ho ripetuto. Sono rimasto imbambolato lì su quella barella per qualche secondo ma oggi se ci ripenso mi sembra un’eternità. Non ho versato una lacrima, nemmeno dopo. Sono entrato nella tua stanza, non c’era più nulla: non c’erano i tubi, non c’era lo scafandro. Potevo finalmente abbracciarti, ma non c’eri più tu.
Eri malato di leucemia, ma quella notte di portò via la polmonite. Girava un virus, hanno detto. Ordinaria amministrazione per loro, a quanto pare. Fa nulla se era un reparto sterile, o almeno così doveva essere. Cinque settimane prima eri pronto per tornare a lavorare, il trapianto era riuscito perfettamente, ma poi la malattia è tornata perché non ti hanno fatto bene la radioterapia. Chapeau.
Gli ultimi dodici mesi non sono andati come previsto, ma non mi lamento: c’è chi decisamente sta messo peggio. Tuo figlio sta sempre sulle scatole a molta gentaglia, ma di questo devi solo andar fiero. Da qualche giorno sta sulle scatole anche a Salvini: censurandolo per un commento che si chiudeva con un’esortazione da bei tempi andati (Studia, somaro) gli ha regalato una notorietà inaspettata.
Sto tutto sommato bene, non mi annoio. Resto fedele a quella promessa che ti ho fatto, l’ultima: di essere onesto, anzitutto come me stesso. Mi ha portato a subire diverse delusioni, soprattutto umane, ma almeno non ho perso la dignità. C’è chi invece se l’è venduta per del “sesso strepitoso“, però almeno ha ammesso davanti a terzi di essere “una persona di merda” (e questa diceva che ero il suo migliore amico… immaginati se gli stavo antipatico che faceva).
Sono passati dodici anni. Cominciano ad essere tanti. Ti avrei voluto chiedere consiglio su tante cose, ma per sciogliere i nodi ho fatto come dicevi tu: “tra il sentiero battuto, la via facile, e quella inesplorata, quindi più difficile, scegli la seconda e non sbaglierai mai.” Forse qualche volta mi sono perso, ma avevi ragione: sul lungo periodo si hanno più soddisfazioni.
Tu, nel tuo piccolo quotidiano, mi hai dimostrato che, anche se costa fatica, è meglio la strada in salita, la via più difficile, perché il primo raggio dell’alba è quello più bello e la vista da lassù è mozzafiato. Le fatiche, le sofferenze, il dolore e le delusioni sono il prezzo da pagare, la montagna da scalare: ma è solo da lassù che si può imparare a volare.
A volte sembra che le persone che vivono la propria vita con discrezione come hai fatto tu non abbiano nulla da dire, perché hanno vissuto nell’ombra; e invece, quando non ci sono più, ci si accorge che nel silenzio dei loro gesti quotidiani hanno costruito molto più di altri vissuti alla luce dei riflettori.
Io ho ancora molto da scalare, ma già da qui la vista è bellissima. E l’alba è una meraviglia. Grazie, papà. Oggi, nonostante tutto, sono felice.